C’è una frase che mi torna spesso in mente, soprattutto quando accompagno una persona nel suo percorso di guarigione: “Prima di guarire qualcuno, chiedigli se è pronto a rinunciare a ciò che lo ha fatto ammalare.” Non so se appartenga davvero a Ippocrate, ma so per certo che contiene una verità che sento ogni giorno, nel mio lavoro, nei racconti che ricevo, nei silenzi che parlano più delle parole.
Tutti, prima o poi, ci ritroviamo a desiderare di stare meglio. Il corpo inizia a lanciare segnali – insonnia, tensioni, stanchezza che non passa – e la mente comincia a farsi domande. L’anima, più silenziosamente, si spegne un po’ alla volta, come una luce che vacilla. E così nasce quella domanda, tanto urgente quanto naturale:
“Come posso guarire?”
Ma ce n’è un’altra, più scomoda, che spesso precede ogni possibilità di guarigione reale:
“Sono davvero pronto a lasciare andare ciò che mi ha fatto ammalare?”
Le parti di noi che resistono al cambiamento
Durante una seduta, una persona – con gli occhi pieni di speranza ma anche di esitazione – mi ha confidato: “Io voglio stare bene… ma una parte di me resta attaccata a ciò che mi fa male.”
Ed è proprio lì, in quello spazio interiore in cui convivono desiderio e paura, che inizia il vero lavoro terapeutico.
Succede molto più spesso di quanto immaginiamo: ci affezioniamo a ciò che ci fa soffrire. Restiamo legati a dinamiche che ci danneggiano, a relazioni che ci svuotano, a lavori che ci spengono, a convinzioni che ci giudicano e ci tengono prigionieri. Perché? Perché sono familiari. Perché ci danno un’illusione di controllo. Perché fanno parte della nostra storia, del nostro sistema interno, che – come ricorda Janina Fisher – ha imparato a sopravvivere, non a fiorire.
E cambiare, anche se è ciò che desideriamo, fa paura.
Perché significa lasciare la riva conosciuta per entrare in acque nuove, sconosciute, forse anche fredde all’inizio.
Come una ferita che continua a essere riaperta
Prova a immaginare una ferita fisica che viene toccata ogni giorno. Puoi metterci sopra la crema migliore, la garza più delicata… ma se ogni giorno qualcosa la riapre, quella ferita non ha modo di cicatrizzare.
Le ferite emotive funzionano allo stesso modo.
Possiamo iniziare un percorso psicologico, praticare la mindfulness, leggere libri illuminanti, partecipare a gruppi di crescita personale…
Ma se nel frattempo continuiamo ad abitare gli stessi contesti che ci fanno male – una casa piena di tensione, una relazione svalutante, un’autocritica feroce – quella sofferenza si rinnova.
Francine Shapiro, fondatrice dell’EMDR, parlava spesso dell’importanza di creare un terreno sicuro perché il cervello possa elaborare il trauma. Senza questa sicurezza – interna ed esterna – non si può guarire davvero. Si può solo sopravvivere, rimandando il momento della verità.
Una domanda difficile, ma necessaria
Per questo, spesso, quando una persona arriva in terapia e mi chiede come stare meglio, io rispondo con un’altra domanda, più essenziale:
“Sei pronto – o pronta – a lasciare andare ciò che ti fa male?”
È una domanda che mette a disagio, lo so. Non è la risposta semplice che si cerca quando si è esausti. Ma è da lì che si comincia.
Perché la guarigione, quella autentica, non inizia quando impariamo a fare qualcosa di nuovo, ma quando impariamo a lasciare ciò che non serve più.
Come disse Irvin Yalom: “La terapia non cambia le persone. Aiuta le persone a diventare ciò che sono.”
E per diventare ciò che siamo, spesso, dobbiamo prima togliere ciò che ci siamo messi addosso per proteggerci.
Fare spazio alla vita
Guarire, in fondo, è un processo di alleggerimento.
Non si tratta di accumulare tecniche, strumenti, esercizi.
Si tratta di liberare spazio dentro di sé.
Spazio per sentire. Spazio per respirare. Spazio per tornare in contatto con la propria verità.
Martin Seligman, nel suo lavoro sulla psicologia positiva, ci ricorda che il benessere non nasce dall’assenza di dolore, ma dalla presenza di significato, relazioni nutrienti, capacità di scelta.
E la scelta più difficile – ma anche più potente – è spesso proprio questa: scegliere di lasciar andare ciò che ci tiene fermi.
Il mio ruolo accanto a te
Nel mio lavoro come psicologa, psicoterapeuta, non offro soluzioni preconfezionate.
Non ho bacchette magiche.
Ma offro presenza, ascolto e uno spazio protetto dove è possibile cominciare a guardare davvero.
Dove puoi sentire che non sei solo nel tuo tentativo di cambiare.
Dove puoi iniziare, un passo alla volta, a lasciare ciò che ti ha fatto male, per fare spazio a ciò che può nutrirti.
La psicoterapia non impone un cambiamento.
Ti accompagna nel riscoprire chi sei, al di là delle tue ferite, delle maschere, delle difese.
E se oggi fosse il momento?
Se oggi ti senti esausto, confuso, bloccato…
Forse è il momento giusto per cambiare la domanda.
Non chiederti solo “Come posso stare meglio?”, ma piuttosto:
👉 “Cosa devo lasciare andare per poter tornare a respirare davvero?”
È da lì che può nascere qualcosa di nuovo.
E se senti che è il momento di iniziare questo cammino, io sono qui.
Con rispetto, delicatezza, e tutta la serietà che merita un viaggio così profondo.
📩 Scrivimi, se vuoi iniziare.
A volte, la strada verso la guarigione comincia proprio da una domanda difficile… e da qualcuno che sa accompagnarti a cercare la risposta.