Come il linguaggio dei genitori modella l’autostima e il mondo interiore dei figli

Ogni parola che diciamo ai nostri figli è come una goccia che scava la roccia: incide lentamente, ma in profondità.
Con i nostri gesti e le nostre frasi, disegniamo la mappa invisibile con cui impareranno a orientarsi nel mondo, a stimarsi e a sentirsi parte di qualcosa.
I bambini sono come antenne: captano tutto, anche il non detto. E con quello costruiscono chi diventeranno.

Crescere dentro le parole

Le parole non sono solo suoni. Per un bambino, le parole dei genitori sono specchi: riflettono ciò che lui può pensare di sé. Se si sente accolto, visto, nominato nelle sue emozioni, allora cresce con le radici ben piantate nel terreno della sicurezza.

Al contrario, se riceve messaggi svalutanti, giudizi rigidi o un silenzio emotivo prolungato, può interiorizzare l’idea di non essere “abbastanza”: abbastanza bravo, abbastanza amabile, abbastanza importante.

Come spiega Carl Rogers, “solo in un clima di profonda accettazione l’individuo può cambiare davvero”. Questo vale anche per i bambini: non crescono bene se si sentono costantemente sotto esame. Crescono bene quando si sentono riconosciuti nella loro unicità, anche nei momenti difficili.

Le parole cambiano il cervello

Non è una metafora: la comunicazione genitoriale modifica letteralmente il cervello del bambino. Le neuroscienze affettive, da Joseph LeDoux a Bessel van der Kolk, mostrano che i circuiti legati alla sicurezza, all’autoregolazione e all’empatia si attivano e si rafforzano quando il bambino riceve messaggi di presenza, calma e contenimento.

Un “ce la fai” ripetuto nel tempo crea connessioni neuronali legate all’autoefficacia.
Un “non sei capace” rafforza invece quelle della rinuncia, del dubbio, della vergogna.

Come sottolinea Davide Liccione, il linguaggio è un “organizzatore” dell’esperienza emotiva. In altre parole: quello che diciamo e come lo diciamo ai bambini diventa il loro modo di organizzare il mondo interno.

Ascoltano anche ciò che non dici

Molti genitori pensano: “Non gli ho mai detto niente di male!”. Ma i bambini non imparano solo dalle frasi rivolte a loro, bensì da tutto ciò che accade intorno.
Vedono come parliamo di noi stessi (“sono uno stupido”), come reagiamo agli errori, come ci relazioniamo agli altri.

Spesso, una smorfia, un sospiro, un tono stanco o irritato valgono più di mille parole.

“I bambini sono come l’argilla: non si modellano solo con le mani, ma anche con lo sguardo e il respiro di chi li cresce.”

Le parole che curano

Anche se abbiamo sbagliato, possiamo sempre riparare.
Un “mi dispiace” sincero, un “oggi non ero al meglio ma ti voglio bene” hanno un potere enorme. Non servono genitori perfetti, ma genitori autentici, capaci di riprendere il filo.

Prova a usare frasi come:

  • “Capisco che sei arrabbiato, ci sono qui con te.”
  • “Non è facile, ma possiamo affrontarlo insieme.”
  • “Anche se sbagli, ti voglio bene lo stesso.”

Queste frasi diventano tracce emotive positive, piccoli semi che un giorno germoglieranno in sicurezza, resilienza e amore per sé.

In terapia: quando le parole fanno la differenza

Nel mio lavoro clinico, vedo ogni giorno quanto il linguaggio usato in famiglia influenzi i vissuti dei bambini e degli adulti. Molti adulti portano ancora dentro di sé le frasi ascoltate da piccoli – alcune li sostengono, altre li bloccano.

Attraverso la terapia, aiutiamo bambini, genitori e famiglie a riconoscere e trasformare le parole che feriscono in parole che curano. A volte, basta cambiare tono. Altre volte, serve un percorso più profondo per sanare ferite emotive antiche.

In conclusione

Ogni parola detta a un bambino è una goccia, un seme, una luce.
“Non possiamo evitare di influenzare i nostri figli. Possiamo solo scegliere se farlo con consapevolezza o per abitudine.”