Ci sono momenti in cui ci sforziamo oltre misura per essere compresi. Investiamo tempo, energia ed emozioni per spiegare chi siamo, per far capire il nostro mondo interiore a chi sembra non riuscire a vederci davvero. Spesso lo facciamo in buona fede, convinti che basterebbe un po’ di pazienza, un’ultima spiegazione, un altro tentativo ancora. Ma non sempre questo porta al risultato che desideriamo.

Perché alcune persone non riescono a capirci?

Secondo Johnson, la nostra tendenza a cercare connessioni profonde è radicata nei primi legami affettivi. Tuttavia, non tutti hanno sviluppato la capacità di rispondere in modo empatico ai bisogni emotivi dell’altro. Alcune persone non possono entrare nel nostro mondo non perché non vogliono, ma perché la loro struttura affettiva non lo permette. Un partner cresciuto in un ambiente emotivamente freddo, per esempio, potrebbe non essere in grado di comprendere il bisogno di vicinanza e rassicurazione, interpretandolo invece come una richiesta eccessiva o un segnale di dipendenza.

Fisher sottolinea che la neurobiologia del trauma gioca un ruolo fondamentale nelle relazioni. Chi ha vissuto esperienze di rifiuto o abbandono potrebbe inconsciamente riprodurre dinamiche disfunzionali, cercando continuamente di essere accettato da persone emotivamente indisponibili. Questo crea un ciclo in cui uno cerca di avvicinarsi, mentre l’altro si allontana, aumentando la frustrazione e il dolore.

Quando lottare per un legame diventa dannoso?

Un esempio comune è quello di chi resta in una relazione in cui si sente costantemente invisibile. Immaginiamo una donna che cerca di comunicare il suo disagio al partner, spiegando più volte di sentirsi sola nella coppia. Lui, tuttavia, risponde con frasi come “Esageri sempre” o “Non so di cosa parli”, rendendo ogni tentativo di connessione uno sforzo a senso unico. Lei insiste, prova ad adattare il proprio linguaggio, legge libri sulla comunicazione di coppia, cerca di cambiare approccio, ma il risultato è sempre lo stesso: non viene ascoltata.

A questo punto, la domanda cruciale è: vale la pena continuare a tendere la mano se dall’altra parte nessuno la afferra?

Il ruolo dello psicologo: dalla consapevolezza all’azione

In questi casi, il lavoro dello psicologo diventa fondamentale. Spesso, chi si trova in queste situazioni ha interiorizzato l’idea che “basta impegnarsi di più” per far funzionare la relazione. Qui entrano in gioco concetti della terapia cognitivo-comportamentale (Caselli) e della psicologia positiva (Seligman), che aiutano la persona a ristrutturare il proprio pensiero: il valore di una relazione non si misura dallo sforzo che si impiega per mantenerla, ma dalla qualità del legame che si crea.

Lo psicologo aiuta il paziente a riconoscere i segnali di una relazione squilibrata e a smontare i sensi di colpa legati all’idea di “arrendersi”. In molte culture, infatti, il lasciar andare è visto come una sconfitta, quando in realtà è un atto di consapevolezza.

Un altro aspetto cruciale è lavorare sul concetto di autostima e attaccamento sicuro. Secondo LeDoux, il cervello emotivo tende a ripetere schemi relazionali già vissuti. Se in passato una persona ha dovuto “lottare” per ricevere attenzione o affetto, tenderà a farlo anche nelle relazioni adulte. Lo psicologo aiuta a riconoscere questi meccanismi e a interrompere il ciclo, favorendo relazioni più sane e appaganti.

Arrendersi è un atto di forza

Rinunciare a un legame che ci logora non significa essere deboli, ma aver compreso i propri limiti. Significa smettere di investire energie in qualcosa che non ci restituisce ciò di cui abbiamo bisogno.

Germer parla dell’importanza della compassione verso sé stessi: lasciare andare non è un atto di egoismo, ma di rispetto per il proprio benessere. Non si tratta di chiudersi all’altro, ma di smettere di bussare a una porta che non si aprirà mai.

Il futuro: relazioni che nutrono, non che consumano

Quando si ha il coraggio di arrendersi, ci si apre alla possibilità di incontri nuovi. Relazioni in cui la comprensione è spontanea, in cui non bisogna continuamente spiegarsi, in cui l’altro è in grado di vedere e accogliere la nostra essenza senza bisogno di traduzioni continue.

La verità è che, da qualche parte, esiste qualcuno per cui il nostro modo di essere sarà un linguaggio naturale, non un codice indecifrabile. Qualcuno con cui non sarà una lotta costante essere in due, ma un flusso armonioso. E quando troveremo quel legame, capiremo che lasciar andare non era una perdita, ma il primo passo per trovare ciò che davvero ci meritiamo.